Al fine nobile di proteggere la tipicità della cultivar che nasce nella nostra Valle sono state nel tempo effettuate alcune operazioni che non sono però andate a buon fine a causa di tentativi maldestri non rispondenti al quadro normativo che vige. Al proposito occorre chiarire a soci e cittadini quali siano i termini VERI di questa situazione che genera aspettative legittime. Deve essere innanzitutto fornita una informazione completa e corretta per evitare disinformazioni, talvolta non involontarie, per tacitare le istanze che si possono soddisfare.

Va distinta la protezione sulla cultivar dalla protezione sul marchio ed in questo senso va detto che:

SCARICA DECO denominazioni comunali dorigine
SCARICA DECO DOP doc igp stg e vini
SCARICA MARCHIO AZIENDALE
  1. La protezione della cultivar una competenza esclusivamente Europea da diversi anni, per cui le denominazioni e protezioni varie quali (IGP-DOC- STG- DOP) ed altro sono figlie di una istruttoria e regole comunitarie ed in questo campo è stato fatto nel passato un tentativo di mettere in un unico contenitore il nostro Marrone con la castagna rossa del Cicolano, richiedendo la protezione IGP e denominando il tutto in un unico denominatore proposto come “castagna Reatina”. Ovviamente l’Unione Europea ha rifiutato quanto proposto che non teneva conto dei requisiti e combinava due cultivar di tipo diverso quali una castagna ed un marrone. https://www.coopvelinia.it/marrone-antrodocano/riferimenti-e-radici/
  2. La protezione del marchio (che ovviamente caratterizza l’azienda produttrice e non già il prodotto) è una competenza nazionale che ha agganci ad una normativa che sta diventando sempre più europea e l’autorità preposta all’istruttoria è il Ministero dello Sviluppo Economico. Anche qui è stato fatto un tentativo maldestro di ottenere autorizzazione a denominare la cooperativa Velinia con il marchio aziendale marrone antrodocano che ovviamente il Ministero ha bocciato nel gennaio del 2015 poiché da un lato la dicitura viola il codice della proprietà intellettuale e dall’altro tale nomen è ormai una cosiddetta “proprietà intellettuale universale“ e non può essere rivendicato da NESSUNO quale denominazione di marchio. L’ amministrazione della Velinia ha iniziato un percorso nel 2020 che si è concluso nel 2023 con il deposito APPROVATO in ambito europeo del marchio aziendale TERRAVELINIA e del relativo logo o veste grafica del marchio. In questo modo è stata sanata una mancanza legale grave perché la cooperativa non aveva fino a quel punto nessun marchio aziendale e per ciò stesso non avrebbe potuto vendere alcuna cosa se non con una cosiddetta “etichetta bianca” dando la facoltà a chiunque poi di rivendere il prodotto con la propria etichetta e marchio e non con quello della cooperativa che lo ha prodotto: questo è quanto facevano i commercianti (e taluni ancora fanno) che acquistavano in cooperativa. https://www.coopvelinia.it/marchio-aziendale/

Realizzata l’impraticabilità di ambedue i percorsi di protezione e tutela, è stata attivata un’iniziativa decisamente minore, la DECO, che è una denominazione comunale che non ha riconoscimento oltre i confini e soprattutto nel mercato degli acquirenti. Inoltre, poiché può attivarsi senza autorizzazione da enti competenti, non garantisce alcuna protezione giuridica né attiva limitazioni a terzi e non genera diritti esclusivi. Mette conto sottolineare ANZI che chiunque abbia a che fare con il mercato e le sue logiche, ha potuto appurare che i rivenditori non vedono di buon occhio tali denominazioni poiché è evidente all’esperto che chi ha una DECO, l’ha attivata perché non è riuscito ad ottenere una protezione, certificazione o riconoscimento più paganti. Allora qui la domanda da farsi è se valga la pena etichettarsi al più basso livello dei riconoscimenti per soddisfare l’orgoglio della piccola piazza locale oppure ricercare seriamente e professionalmente quello che un prodotto di indubbia qualità consentirebbe?

A margine di tutto questo ma non secondariamente va però detto che per raggiungere un risultato di protezione decente sulla cultivar è necessario superare lo stato attuale delle cose, che vede il marrone antrodocano come una cultivar non riconosciuta e un tentativo di assoggettare 7 cultivar di marroni simili sotto l’unica denominazione di Marrone Fiorentino. A monte di questa iniziativa sono già stati prelevati campioni di cortecce, foglie e frutti per l’esame del DNA che porterà ormai quasi certamente alla definizione di questo gruppo di marroni molto simili da denominare con un unico nome. Se non vogliamo perdere la tipicità del nostro prodotto autoctono, va fatto qualcosa di serio e non accontentarci di un provvedimento che non produce risultati concreti. Per intraprendere un percorso serio non bisogna sottacere il fatto che occorre partire da quanto in letteratura, ove la denominazione storica e più ricorrente fra i maggiori studiosi, è quella del MARRONE DI BORGO VELINO ed è quello che risulta anche presso la FAO, quale maggiore autorità mondiale in campo agroalimentare. Partendo da questo si potrebbe intraprendere un percorso serio inserendo la storia commerciale della cooperativa (come Marrone Antrodocano) ma soprattutto andando a ricercare nelle indagini genetiche quel carattere di UNICITA’ che impedirebbe l’imposizione di un nome collettivo ( Marrone Fiorentino) alla nostra Cultivar.

Altra cosa da fare per intraprendere un percorso serio è quella di riconoscere che i nostri marroni sono tipici in tutta la valle del Velino a cominciare da Accumoli fino a Rieti e vengono coltivati e venduti alle porte di Roma. Un orticello ridotto quale quello dei 4 piccoli comuni storici e francamente meno significativi di quelli dell’Alta Valle, è un approccio miope che relega nelle retrovie l’entità che questi comuni andrebbero a comporre. Una rappresentatività geografica Maggiore dei quattro tradizionali storici comuni ed un prodotto di quantità più consistente rispetto a quello pur maggioritariamente prodotto nell’ areale di Colle Rinaldo, porterebbe a facilitare la concessione di una protezione comunitaria. Ciò ovviamente, una volta definito il problema di una denominazione che abbia fondamento storico, genetico e morfologico, perché questi sono i tre aspetti che richiede il riconoscimento di biodiversità Secondo la legge che vige in questo settore.

Va detto infine che le classiche denominazioni di protezione comunitaria (IGP-DOC-DOP-STG) sono commercialmente, anche se non giuridicamente, superate dalla qualificazione di BIOLOGICO dei prodotti agroalimentari, ora maggiormente in voga presso la maggior parte dei consumatori. Anche la grande distribuzione si è assoggettata a tale meccanismo. In questo senso la cooperativa Velinia ha intrapreso nel 2022 (prima azienda in campo nazionale) il percorso della CERTIFICAZIONE BIO COLLETTIVA.